La cassata è la regina della pasticceria siciliana, e come tutte le regine il suo aspetto è elegante, regale, lussureggiante, imponente, sublime. E’ il dolce per antonomasia, il non plus ultra del gusto, il più amato nel mondo. Il cuore della cassata, ovvero il protagonista, è la crema di ricotta (presente in tantissimi altri dolci siciliani come il cannolo e la sfincia di San Giuseppe), morbida, dolce, rigorosamente a base di latte di pecora e arricchita con gocce di cioccolato fondente. Lo strato esterno è formato da pan di spagna, che nella fascia laterale si alterna con la pasta di mandorle (pasta reale). La torta viene poi ricoperta dalla bianca glassa di zucchero che la rendono elegante, ed infine viene decorata con abbondante frutta candita che conferisce alla cassata quel classico aspetto baroccheggiante.
È alla Palermo del periodo arabo che bisogna risalire, in quella che all’epoca (XI secolo) era la città più grande d’Europa. Gli Arabi avevano importato nell’isola vari prodotti: dal pistacchio agli agrumi, dalla mandorla alla canna da zucchero. Secondo la tradizione, una notte un pastore decise di mescolare la ricotta di pecora con lo zucchero o il miele. E chiamò questo dolce “quas’at” (“bacinella”), dal nome della ciotola in cui era contenuto l’impasto. Successivamente, alla corte palermitana dell’emiro in piazza Kalsa, i cuochi decisero di avvolgere l’impasto in una sfoglia di pasta frolla, da cuocere poi in forno. Nacque così la cassata al forno, la più antica delle versioni di questo dolce.
La coloratissima variante oggi conosciuta al grande pubblico è il risultato di un’evoluzione proseguita in epoca normanna con l’invenzione, presso il convento della Martorana a Palermo, della pasta reale (o pasta martorana), a base di farina di mandorle. Il termine “cassata” si incontra per la prima volta nel XIV secolo, nel Declarus di Angelo Sinesio, il quale definiva la cassata come “cibo composto da pasta di pane e formaggio”. Nel Settecento, da Genova, arrivò il pan di Spagna a sostituire la pasta frolla; alla ricotta vennero aggiunte scaglie di cioccolato; e con la pasta martorana vennero create delle decorazioni alle quali si aggiunsero anche quelle create con la frutta candita (e, in particolare, la “zuccata” a base di zucca) e la glassa di zucchero: siamo così arrivati alla coloratissima cassata che oggi conosciamo, “codificata” nel 1873 dal pasticciere palermitano Salvatore Gulì. Fu proprio lui a introdurre nella ricetta la “zuccata”, coltivata dalle abili suore della Badia del Cancelliere di Palermo. Tuttavia ancora nel 1853, come testimonia il Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, per “cassata” si intendeva prevalentemente quella al forno, mentre quella ricoperta di glassa e frutta candita si affermerà solo a partire dalla fine del XIX secolo.
Nonostante l’apparente semplicità della ricetta, esistono innumerevoli varianti locali che spiccano per la tipicità della ricetta: la variante palermitana, quella messinese (meno dolce), la catanese, la trapanese, la nissena e la siracusana (che si distingue per la presenza a strati del pan di Spagna e l’assenza di glassa), la siciliana (viene nasprata solo la parte superficiale del dolce ed è coperta lateralmente da uno strato di pasta di mandorla al pistacchio). Fuori dall’isola. la variante più famosa è certamente la cassata napoletana, meno decorata ed in apparenza ha le sembianze di una torta (fondo di pan di Spagna farcito con ricotta e gocce di cioccolato).
Mangiare una porzione di cassata, tra colori e sapori non è solo consumare la fetta di un dolce ma è assaggiare un pezzo di storia che attraversa secoli di dominazioni, capacità di adattarsi e convivere con popolazioni diverse, tutte peculiarità di un popolo splendido come quello siculo che fa di ogni vizio una virtù!
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